La contribución de Maria Montessori a la renovación de la pedagogía infantil en las dos primeras décadas del siglo XX en Italia
DOI:
https://doi.org/10.17227/pys.num58-17208Palabras clave:
observación, experimento educacional, dificultad en el aprendizaje , material didáctico , estética, pedagogíaResumen
El artículo realiza un análisis histórico-educativo que forma parte del proyecto de investigación nacional Maria Montessori de pasado a presente. Recepción e implementación de su método educativo en Italia en el 150 aniversario de su nacimiento, destinado a reconstruir la figura y la obra de la estudiosa italiana, a partir de la creación del primer Hogar de Niños en 1907. En particular, este ensayo toma en cuenta un buen número de estudios aparecidos en los últimos tiempos sobre María Montessori, así como el análisis realizado sobre sus obras para reflexionar sobre el alcance innovador de su trayectoria científica. Desde los estudios médicos hasta la acción y la investigación en el campo pedagógico, el itinerario emprendido por María Montessori, a finales del siglo xix, hasta su muerte en 1952, presenta un hilo conductor preciso: su compromiso conjuga el principio de la emancipación femenina con el más amplio de la emancipación humana, situando la infancia en el centro de un proyecto de mejora de la humanidad. El artículo toma en consideración un período preciso de la historia de la escuela y de la educación italiana, el período de la llamada Era Giolitti, para captar las relaciones de Maria Montessori con las personalidades pedagógicas de su tiempo, des-tacando los obstáculos que encontró en la creación una pedagogía que educara al niño a la libertad a través de la libertad. De hecho, la experimentación de su proyecto tuvo poca difusión en Italia, sobre todo, como se desprende del artículo, debido a las dificultades encontradas en la formación de un nuevo modelo de maestro.
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Recibido: 29 de agosto de 2022; Aceptado: 14 de octubre de 2022
Resumen
L’articolo compie un’analisi di tipo storico-educativo che si inserisce all’interno del Progetto di ricerca nazionale Maria Montessori dal passato al presente. Accoglienza e implementazione del suo metodo educativo in Italia nel 150° anniversario della sua nascita, finalizzato alla ricostruzione della figura e dell’opera della studiosa italiana, a partire dall’istituzione della prima Casa dei Bambini nel 1907. In particolare, il presente saggio tiene conto di un buon numero di studi che sono apparsi negli ultimi tempi su Maria Montessori, nonché dell’analisi condotta sulle sue opere al fine di compiere una riflessione sulla portata innovativa del suo percorso scientifico. Dagli studi medici all’azione e alla ricerca in campo pedagogico, l’itinerario intrapreso da Maria Montessori, sul finire dell’Ottocento, fino alla morte, avvenuta nel 1952, presenta un preciso filo conduttore: il suo impegno coniuga il principio di emancipazione femminile con quello più ampio di emancipazione umana, ponendo l’infanzia al centro di un progetto per rendere l’umanità migliore. L’articolo prende in considerazione un preciso periodo della storia della scuola e dell’educazione italiana, il periodo della cosiddetta Età giolittiana, per cogliere i rapporti di Maria Montessori con le personalità pedagogiche del suo tempo, mettendo in luce gli ostacoli che ella incontrò nel realizzare una pedagogia che educasse il bambino alla libertà attraverso la libertà. La sperimentazione del suo progetto ebbe infatti una scarsa diffusione in Italia, soprattutto, come emerge dall’articolo, per le difficoltà incontrate nella formazione di un nuovo modello di insegnante.
Parole-chiave:
osservazione, pedagogia sperimentale, difficoltà di apprendimento, materiale didattico, estética, pedagogia.Abstract
The article carries out a historical-educational analysis that is part of the national research project Maria Montessori from past to present. Reception and implementation of her educational method in Italy on the 150th anniversary of her birth, aimed at reconstructing the figure and work of the Italian scholar, starting with the establishment of the first Children’s Home in 1907. In particular, this essay takes I count a good number of studies that have appeared in recent times on Maria Montessori, as well as the analysis conducted on her works in order to reflect on the innovative scope of her scientific path. From medical studies to action and research in the pedagogical field, the itinerary undertaken by Maria Montessori, at the end of the nineteenth century, until her death in 1952, presents a precise thread: her commitment combines the principle of female emancipation with the broader one of human emancipation, placing childhood at the center of a project to make humanity better. The article takes into consideration a precise period in the history of Italian school and education, the period of the so-called Giolitti Age, to grasp the relationships of Maria Montessori with the pedagogical personalities of her time, highlighting the obstacles she encountered in the create a pedagogy that would educate the child to freedom through freedom. The experimentation of his project had in fact little diffusion in Italy, above all, as emerges from the article, due to the difficulties encountered in forming a new model of teacher.
Keywords:
observation, experimental education, learning difficulties, teaching materials, aesthetics, pedagogy.Dalla medicina alla pedagogia: per una scienza dell’intervento
Quando Maria Montessori si laureò in Medicina, il 10 luglio 1896, solamente cinque donne avevano in Italia conseguito la stessa laurea. Durante tale percorso di studi, ella aveva acquisito, a contatto con i maggiori esponenti del mondo scientifico del tempo, i prin-cipi della metodologia scientifica, tramite l’esercizio continuo dell’osservazione e della sperimentazione. Appena laureatasi, prese la decisione di specializzarsi in Psichiatria, decisione che si rivelò controcorrente, in quanto le donne che l’avevano preceduta nella profes-sione medica, avevano optato per i rami della Pediatria e2della Ginecologia, ritenuti più consoni all’attività femminile (Babini e Lama, 1999, pp. 263-264). Presso l’ospedale psichiatrico della capitale, prese così avvio il suo impegno rieducativo nei confronti dei bambini disabili, condotto all’interno di un gruppo di lavoro e di ricerca, rappresentato dai nomi più in vista della neuro-fisiologia, tra cui figurava Giuseppe Montesano, con cui la studiosa intrattenne una relazione dalla quale, come è noto, nel 1898, nacque il figlio Mario.
In quel periodo, in Italia, la questione dei minori con disturbi cognitivi rappresentava una vera e pro-pria emergenza sociale, che non aveva mancato di sollecitare sempre più l’interesse degli studiosi in campo medico, psichiatrico e pedagogico, a causa dei numerosi bambini ritardati che stazionavano all’interno dei manicomi, in genere rifiutati dalle famiglie, dopo che avevano tentato invano il loro inserimento nella scuola elementare (Pironi, 2014, p. 47-48). Come affermerà Maria Montessori, una decina di anni dopo, “Fanciulli che attraverso castighi e persecuzioni finiranno per esserne scacciati senza aver nulla appreso” (Montessori, 1910, p. 13).
Del resto, in Italia, non si era provveduto ad alcun intervento da parte dello Stato che avesse portato alla creazione di Istituti medico-pedagogici, sorti già da tempo in Francia e in Inghilterra. Di qui la decisione di Maria Montessori di partecipare al Congresso peda-gogico, tenutosi a Torino nel settembre del 1898, al fine di richiamare l’attenzione su un tema che doveva essere messo in primo piano dagli studiosi in campo educativo. In quell’assise, la studiosa avanzava la pro-posta di porre allo studio interventi didattici specifici in campo rieducativo, con la conseguente e urgente necessità di formare insegnanti specializzati nei diversi ambiti della disabilità. Evidenziava infatti che, diversi anni prima, nel 1931, Édouard Séguin aveva dato prova che “l’idiota non è incapace di imparare ma soltanto incapace di seguire i metodi normali di istruzione” (Molineri e Alessio, 1899, pp. 122-123).
L’invito di Maria Montessori non cadde nel vuoto, tanto da r i u s c i r e a sollecitare un vasto movimento di opinione all’interno dell’ambiente intellettuale e scientifico del tempo, che porto alla nascita, nel 1899, della cosiddetta Lega nazionale dei fanciulli deficienti, di cui la studiosa si fece promotrice in diverse citta d’Italia, potendo contare sulla piena adesione dei movimenti delle donne, con cui da alcuni anni aveva stretto un’attiva collaborazione. In nome del suo impegno all’interno delle file del “femminismo pratico”, Maria Montessori era infatti riuscita a coniugare la ricerca scientifica con un’azione concreta di cambiamento sociale (Babini e Lama, 2000, pp. 74-5).
Principale obiettivo della Lega fu quello di dar vita alla Scuola magistrale ortofrenica, aperta nell’aprile del 1900, diretta dalla Montessori insieme a Giuseppe Montesano al fine di “mettere in grado i maestri elementari di conoscere le varie forme con cui si manifesta la deficienza psichica e i metodi di educazione adatti nei singoli casi”. 1 All’interno della Scuola, venne inserita una classe di tirocinio, diretta dalla studiosa, nella consapevolezza che gli insegnamenti teorici dovessero misurarsi con la continua sperimentazione di nuovi metodi e strategie che offrissero risultati positivi nel trattamento delle diverse tipologie di deficit. 2
La dottoressa ebbe modo di sperimentare alcuni interventi educativi, calibrati su bisogni e caratteristiche differenziate a seconda dei soggetti, tramite l’ausilio di un materiale didattico, che trovava ispirazione da quello messo a punto da Séguin, mentre via via i risultati raggiunti da ogni bambino venivano meticolosamente registrati sulla Carta biografica, uno strumento messo a punto, nel 1886, dall’antropologo Giuseppe Sergi, di cui Maria Montessori era stata allieva. 3
Come e noto, i progressi conseguiti da una cinquantina di bambini, provenienti dalla Clinica Psichiatrica di Roma, furono cosi rilevanti, che alcuni di loro superarono gli esami di licenza elementare con voti superiori a quelli conseguiti dagli allievi “normali”. Piu tardi, a ricordo di tale esperienza, ella scrivera
“Questi effetti meravigliosi [ottenuti con i frenastenici] avevano quasi del miracolo per coloro che li osservavano. Ma per me i ragazzi del manicomio raggiungevano quelli normali agli esami pubblici, solo perche avevano seguito una via diversa. Essi erano stati aiutati nello sviluppo psichico e i fanciulli normali erano stati invece soffocati e depressi” (Montessori, 2000a, p. 122).
La formazione degli insegnanti per una scuola nuova
Le molte biografie uscite recentemente sulla studiosa concordano nell’individuare una precisa svolta nel suo percorso umano e scientifico, una svolta che la porto a concentrare le sue ricerche in campo pedagogico (Pironi, 2014, p. 53). Nel 1901, ella prese la decisione di abbandonare il suo lavoro presso la Scuola Ortofrenica, per intraprendere la docenza di Antropologia pedagogica presso l’Istituto Superiore Femminile di Magistero Femminile della capitale. Una scelta la sua, frutto non soltanto da motivi personali la rottura della relazione con Giuseppe Montesano ma anche dettata dalla convinzione dei forti limiti della scuola del tempo, nella quale, secondo lei, non era stato introdotto alcun cambiamento, nonostante gli sviluppi che sul piano teorico avevano conosciuto, in quegli anni, le scienze dell’educazione. Difficile capire quanto abbia inciso in quella scelta la nascita del figlio Mario, il 31 marzo 1898, che la studiosa decise di dare in affido ad una famiglia, costretta a nascondere la sua condizione di madre nubile (De Stefano, 2020, pp.43-55). Sulla vita privata della studiosa, per sua espressa volontà̀, è scesa una cortina di silenzio; ma come non collegare a quella scelta la volonta di dedicarsi anima e corpo all’educazione al fine di trasformare mentalita e consuetudini ritenute ingiuste?
Occuparsi della formazione di future insegnanti donne rappresento infatti per lei una nuova e un’importante occasione che fece scaturire in alcune delle sue studentesse la consapevolezza relativa alle potenzialità̀ di una professione scarsamente valorizzata, in quanto ritenuta tipicamente femminile. Non dimentichiamo che le difficili condizioni delle maestre erano state da lei denunciate in diverse occasioni; d’altro canto, si era resa sempre consapevole che le tante iniziative portate avanti dal Positivismo per la formazione professionale degli insegnanti non avevano sortito alcun effetto sul piano didattico. L’esperienza da lei condotta all’interno della Scuola ortofrenica romana ne rappresentava una lampante conferma, e si puo quindi immaginare che tale esperienza avesse contribuito alla decisione di ottenere la docenza presso l’Istituto di Magistero femminile; del resto, le allieve dell’Istituto, aspiranti all’insegnamento nelle Scuole Normali, sarebbero divenute a loro volta formatrici delle future insegnanti elementari (Pironi, 2021, p. 119). Ella, intraprendente e stimata, aveva pure ottenuto l’incarico di Antropologia e Pedagogia presso la Scuola Pedagogica, ovvero il Corso di Perfezionamento per licenziati di Scuole Normali, istituito nel 1904 dal ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Credaro, per fornire una preparazione universitaria ai maestri elementari (Barausse, 2004).
Proprio in questo periodo, Maria Montessori si dedico ad un’importante ricerca, condotta presso le scuole primarie della capitale, che coinvolse gli allievi del secondo ciclo. I risultati di tale indagine, pubblicati nel 1904, smentirono la tesi che si potesse misurare l’intelligenza sulla base della dimensione del cranio: in controtendenza rispetto a quanto affermato dall’antropometria del tempo, ella rilevava l’interdipendenza tra sviluppo cerebrale, apprendimento scolastico e condizioni sociali-culturali di appartenenza. Sulla base delle biografie degli alunni esaminati, la studiosa rilevo che coloro che erano ritenuti dai docenti “peggiori [erano] i bambini poverissimi — che abita[va]no in case troppo ristrette (agglomeramento di individui, fino a 11 in camera! — quasi abbandonati e che fanno vita di strada” (Montessori, 1904, p. 280).
Ella infine concludeva che
“cosa ancor piu grave era che la scuola assu[messe] una veste repressiva e mortificante nei confronti dei bambini piu svantaggiati: come in una gara tra paralitici e agili corridori imponeva gli stessi traguardi e gli stessi premi e castighi, senza domandarsi se fosse possibile metterli nelle medesime condizioni di partenza” (Ivi, pp. 283-4).
Di conseguenza, essa contribuiva soltanto “ad aggravare condizioni sociali ingiuste, castigando nel bambino la miseria, la malattia, la sventura: […]. E come la bellezza del corpo è indipendente dal merito individuale [così sono] involontarie anche le condizioni biologiche e sociali di nascita” (Ivi, p. 283). Maria Montessori presentava percio i risultati delle sue ricerche durante le lezioni di Igiene e Antropologia presso il Magistero romano, evidenziando l’urgente necessita da parte dei docenti di acquisire metodologie osservative in grado di cogliere le caratteristiche individuali dei loro allievi:
“Gli educatori sono ben lontani dal conoscere quella scolaresca di fanciulli normali, sulla quale si abbatte ciecamente l’uniformita del metodo, l’incoraggiamento, il castigo: se invece lo scolaro sorgesse innanzi agli occhi del maestro come una individualita vivente, ben altri criteri egli dovrebbe adottare, scosso nelle profondita della coscienza, dalla rivelazione di responsabilita dapprima insospettate” (Montessori, 1910, pp. 14-15).
La stessa convinzione verra da lei espressa anche in seguito, consapevole che nulle fosse cambiato:
“Gli alunni trascorrono anni e davvero tutta la loro giovinezza nell’ambiente della scuola, e tuttavia nessuno li conosce, nessuno li ha osservati e i loro nomi servono soltanto per essere registrati. Ma l’uomo che ha attraversato questa strada senza fine rimane sconosciuto” (Montessori, 2002, pp. 175-6).
Le sue critiche erano rivolte a quei pedagogisti positivisti che ritenevano bastasse fornire un fondamento scientifico alla pedagogia, fino ad allora considerata in termini applicativi della filosofia, semplicemente dotandola di un approccio misurativo e quantitativo. Ne Il Metodo della Pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile nelle Case dei Bambini (1909), ella si riferiva indirettamente ad Alfred Binet, che aveva sperimentato nelle scuole parigine i cosiddetti “reattivi mentali”, convinto di poter stabilire in modo oggettivo il quoziente intellettivo degli scolari:
“La pedagogia sperimentale con i suoi reattivi e i suoi test, introdotta nelle scuole elementari, non è riuscita a influire nella pratica della scuola stessa e sui metodi; per logica conseguenza si è venuti soltanto a intravedere la possibilità̀ di modificare gli esami, cioe le prove dello scolaro” (Montessori, 2000a, p. 352).
Al contrario, secondo Maria Montessori, l’approccio sperimentale non poteva tradursi solamente nella descrizione del fenomeno, in questo caso, un bambino “represso”, in condizioni di totale passività̀, senza introdurre alcun cambiamento nell’ambiente scolastico (Pironi, 2014, p. 58). Per questo scriveva:
“Un ambiente in cui domina l’uniformità̀ e l’obbedienza, ove i fanciulli sono soffocati nelle espressioni spontanee della loro personalità̀, come esseri morti; e fissi sul posto rispettivo, nel banco, come farfalle infilate in uno spillo, mentre dispiegano le ali del sapere aridamente acquisito, e che puo esser simboleggiato da quelle ali, che hanno il significato di vanità” (Montessori, 2000a, p. 88).
Di conseguenza, la studiosa concentro le sue indagini sulla Carta biografica, uno strumento finalizzato a indagare in profondita i motivi che erano alla base di determinati comportamenti e prestazioni, e che percio non si limitava alla semplice constatazione di un risultato, come nel caso di pagelle e registri. Principale obiettivo della Carta biografica era infatti quello di individuare le difficoltà di apprendimento degli alunni, onde intervenire di conseguenza:
“La storia biografica compie lo studio individuale del soggetto e ne prepara la diagnosi: fondendo a tale intento l’opera della scuola con quella della famiglia [...]. La carta biografica sarà̀ per ogni individuo un documento capace di guidarlo nella propria ulteriore autoeducazione” (Montessori, 1910, p. 391).
La Casa dei Bambini: educare alla libertà attraverso la libertà
L’opera di risanamento e di ristrutturazione del poverissimo quartiere di San Lorenzo rappresento per Maria Montessori l’opportunita di realizzare quelle metodologie didattiche che l’avrebbero resa, di li a poco, famosa in tutto il mondo. Non c’e qui alcun intento di soffermarsi sulle vicende che portarono all’avvio dell’esperienza montessoriana nel celebre quartiere romano, peraltro assai note; e bene pero ricordare che quel 6 gennaio 1907 non nacque la Casa dei bambini vera e propria, la quale risulto essere l’esito della reale sperimentazione da parte di Maria Montessori, che, nell’arco di alcuni mesi, riusci a trasformare un comune asilo, concepito dall’ingegnere Eduardo Talamo con una veste prevalentemente assistenziale, in un luogo in cui l’infanzia potesse rendersi protagonista della trasformazione dell’adulto. L’asilo infantile era stato infatti posto in una sala al piano terra di uno dei palazzi ristrutturati di via dei Marsi con l’obiettivo principale di custodire i bambini in età̀ prescolare, onde evitare che danneggiassero aiuole e spazi comuni.
Per capire quale sia stata la portata innovativa della pedagogia montessoriana per quanto riguarda le istituzioni rivolte all’infanzia, dai tre ai sei anni, occorre tener conto che, in quel periodo, esse non erano contemplate dal sistema scolastico italiano, poiche mantenevano una connotazione essenzialmente di tipo caritatevole, essendo rivolte alle famiglie in condizioni estremamente disagiate, dove le madri erano costrette al lavoro extradomestico per estrema necessita. Anche i giardini d’infanzia di origine froebeliana, che avevano conosciuto una certa diffusione grazie al Positivismo, tradivano in larga parte le idee del loro fondatore, in quanto mancavano di personale preparato, nonche dello spazio esterno onde educare i piccoli alle attivita di giardinaggio; nel 1895, grazie all’iniziativa di due maestre, Rosa e Carolina Agazzi, era sorto l’asilo rurale di Mompiano, che prendera poi il nome di scuola materna, imponendosi livello nazionale nel corso del Novecento. Del resto al Congresso torinese del 1898, a cui aveva partecipato Maria Montessori, Rosa Agazzi aveva presentato l’esperienza da lei realizzata presso l’asilo rurale di Mompiano, un povero paese agricolo della provincia di Brescia. Questo pero si manteneva in linea con la tradizione, nonostante fossero stati introdotti alcuni aspetti innovativi, come le attivita di vita pratica, il gioco, le attivita estetico-espressive; nella proposta agazziana la personalita dell’educatrice rappresentava il centro ispiratore delle diverse attivita didattiche condotte tramite lezioni collettive e rivolte ai bambini suddivisi per eta (Pironi, 2007, pp. 30-31).
Dal canto suo Maria Montessori, nel 1906, accettò immediatamente l’incarico di dirigere l’asilo posto all’interno del palazzo di via dei Marsi a Roma, spinta dalla motivazione che solo cambiando radicalmente il modo di educare l’infanzia fosse possibile realizzare un’umanita migliore. Si trattava di un progetto che rivelava evidenti sintonie col messaggio espresso da Ellen Key nel Secolo dei fanciulli (1900), volume tradotto in Italia proprio nel 1906 e che divenne immediatamente celebre anche nel nostro Paese. Influenzata dalle considerazioni della scrittrice svedese, la studiosa italiana mise a frutto le sue precedenti ricerche nel campo della pedagogia sperimentale nella realizzazione di quella Casa dei Bambini che diverra presto famosa in tutto il mondo, grazie ai successi ottenuti tramite la pratica quotidiana dell’autonomia personale da parte dei bambini (Pironi, 2014a, pp. 64-65).
Nel Secolo dei fanciulli, l’ambiente domestico, luogo di cura e di relazioni affettive, veniva ritenuto dalla scrittrice svedese come lo spazio piu adatto per lo sviluppo psichico del bambino, rispetto alle istituzioni educative del tempo che — secondo Ellen Key — formavano “uomini-massa” e non certo persone dotate di coscienza autonoma. Del resto, la valenza utopica del suo famoso volume riportava la famosa citazione, ripresa dallo Zarathustra di Nietzsche, quale invito ai “genitori che sperano di educare l’uomo nuovo” (Key, 1906, p. 1). Maria Montessori non condivideva pero le polemiche dell’autrice scandinava nei confronti di un esubero dell’impiego delle forze femminili nel mondo del lavoro. Il femminismo montessoriano, tenendo conto dell’importanza del lavoro extradomestico per favorire l’autonomia della donna, esprimeva la necessita di fornirle un supporto a livello istituzionale nella gestione dei compiti tradizionalmente muliebri con la dotazione in ogni quartiere di infermerie, cucine centralizzate, asili. La sua realizzazione in qualita di “individuo umano libero” (Montessori, 2000a, p. 158) avrebbe reso possibile lo stesso miglioramento della specie umana, sulla base “dell’amore ideale incarnato da Federico Nietzsche nella donna di Zarathustra, che vuole coscientemente il figlio migliore di stessa” (Ivi).
Non dimentichiamo che la Casa dei Bambini contava sul pieno coinvolgimento delle madri, invitate a visitare la Casa dei Bambini in ogni momento della giornata: in questo modo — scriveva la studiosa italiana — “ciascuna di loro si sentira congiunta non solo al proprio figlio, bensi all’umanita intera” (Ivi, p. 187). La Casa dei Bambini — così denominata grazie al suggerimento della sua amica, la giornalista femminista Olga Lodi — divenne il centro nevralgico non solo dell’intera opera di riqualificazione urbanistica, bensi il nucleo di un piu ampio progetto di miglioramento umano e sociale: “cuore dell’intervento risanatore la scuola in casa” (Montessori, 2000a, p. 157).
Indubbiamente, Maria Montessori con la realizzazione della Casa dei Bambini intendeva proporre una soluzione a quelle problematiche relative alla coniugazione tra maternita e lavoro extradomestico che Ellen Key aveva evidenziato nel suo volume, la quale non riteneva opportuno che la madre affidasse l’educazione del proprio figlio in eta precoce agli asili esistenti per tornare al proprio impiego. Ella muoveva infatti una veemente critica alle istituzioni infantili del tempo che costringevano i bambini a “eseguire tutti insieme, secondo un programma, gli stessi lavoretti inutili e stupidi […]. L’asilo insegna a divertirsi a frotte, invece che individualmente, e a produrre cose inutili, facendo lor credere che abbiano uno scopo” (Key, 1906, p. 161). Inoltre, sempre secondo la scrittrice svedese, la fruizione estetica dell’ambiente domestico rappresentava un efficace antidoto per neutralizzare gli effetti negativi della societa sulla personalita umana, in quanto vivere in un ambiente bello e curato rendeva piu felici e percio migliori (Pironi, 2018, p. 45).
L’importanza educativa assegnata all’ambiente, e non solo, trovava una sua effettiva sperimentazione nella Casa dei Bambini. Di conseguenza, nei mesi successivi che seguirono l’inaugurazione di quest’ultima, il 6 gennaio 1907, i pesanti banchi vennero sostituiti da leggeri e graziosi tavolini a due posti, progettati da Maria Montessori e fatti costruire appositamente per permettere l’autonomia e la liberta di movimento; vennero fissate alle pareti basse credenzine dai colori tenui, con serrature a portata dei bambini, adornate da “quadri raffiguranti fanciulli, scene di famiglia, scene di campagna, animali domestici, tutte figure estremamente semplici e gentili” (Montessori, 2000a, pp. 184-185).
L’arredamento doveva infatti rispondere a un criterio di “bellezza”, da non confondere “col superfluo e col lusso, ma con la grazia e l’armonia delle linee e dei colori, uniti a quella massima semplicita che e richiesta dalla leggerezza del mobile” (Montessori, 2000b, p. 127). La pedagogista italiana era infatti convinta che
“Nessun ornamento potrebbe distrarre il fanciullo concentrato in un lavoro; al contrario la bellezza ispira insieme il raccoglimento, e porge riposo allo spirito affaticato. Sembrera certo strano il linguaggio, ma se noi vogliamo riportarci ai principi della scienza, si potrebbe dire che il luogo adatto alla vita dell’uomo e un luogo artistico: e percio se la scuola vuol diventare un gabinetto di osservazione della vita umana deve raccogliervi il bello, come un gabinetto di batteriologia deve raccogliervi le stufe e i terreni nutritizi” (Montessori, 2000b, p. 129).
Solo un ambiente sereno e accogliente poteva favorire il benessere intimo del bambino, fondamentale per attivare quel processo di autoeducazione, ritenuto dalla dottoressa alla base di un nuovo clima di relazioni umane. Maria Montessori puntualizzava l’importanza dello spazio della “casa” non per i bambini, ma dei bambini, facendo in modo che essi la sentissero realmente loro. Nell’intento della studiosa, la Casa dei Bambini rappresentava percio il prototipo di una societa collaborativa, fondata sulla condivisione di regole per la cura dell’ambiente e nell’organizzazione della vita quotidiana (apparecchiatura, pulizia, ecc.) e quindi del tutto aliena da logiche competitive. In tal senso, l’aspetto sociale e quello individuale trovavano una loro armonizzazione nella prospettiva montessoriana, a dispetto delle critiche che le sono state mosse nel considerare la sua pedagogia sbilanciata in senso individualistico, a scapito della socializzazione. Proprio per evitare atteggiamenti competitivi e di confronto tra i bambini, la studiosa ritenne necessario puntare sulla personalizzazione dell’intervento educativo. Focalizzava per questo la sua ricerca sul materiale strutturato, che veniva di continuo sperimentato nella Casa dei Bambini del celebre quartiere romano, osservando di conseguenza le reazioni dei piccoli ospiti mentre lo utilizzavano, per poi riportarne giornalmente i risultati sulla Carta biografica (Pironi, 2014, p. 78).
Tale esperienza la rese consapevole del fatto che la mente infantile fosse guidata da “un interno impulso che nessuno puo creare” (Montessori, 2002, p. 240), una potenzialita misteriosa che era possibile portare alla luce grazie al supporto di un ambiente adatto. Secondo lei, la mente infantile si contraddistingueva per un principio attivo, una potenzialita interiore, un’energia che in passato non era stata presa in considerazione. Proprio in questa nuova concezione stava il punto di partenza di quella pedagogia della liberta che trovo realizzazione nelle Case dei Bambini:
“Se e una forza spirituale che agisce nel bambino […], anziche un problema di arte pedagogica nel costruire la sua mente, e un problema di libertà quello che necessariamente si affaccia. Dare con gli oggetti esterni il nutrimento corrispondente ai bisogni interiori, e imparare a rispettare nel modo piu perfetto la liberta di sviluppo, ecco i fondamenti che devono approfondirsi per costruire una nuova pedagogia” (Montessori, 2000b, p. 142).
Del resto, sempre nell’opera L’Autoeducazione (1916), ella avanzava critiche alla psicologia associazionistica, e, nel riferirsi a William James, sosteneva che “le attivita interiori agiscono come causa, non reagiscono ed esistono in quanto effetto di fattori esterni” (Montessori, 2000b, p. 142). Fondamentale era che il soggetto fosse libero di agire all’interno di un ambiente organizzato in rapporto alle sue forze e al suo sviluppo psichico. Al tempo stesso, il materiale strutturato, essenzialmente caratterizzato dal principio dell’autocorrezione, rappresentava lo strumento per favorire l’autoapprendimento: la sua funzione era infatti quella di “rendere accessibile al bambino la possibilita di entrare ne segreti, nelle astrazioni e nelle sintesi che puo presentare una materia di studio” (Montessori, 2002, p. 72). La studiosa riteneva, infatti, che la vita psichica si manifestasse con un fenomeno caratteristico di attenzione di fronte a un problema (controllo dell’errore), la cui natura non fosse meccanica, bensi psicologica:
“Se il bambino nel suo movimento non ha uno scopo intelligente, manca in lui la guida; allora il movimento lo stanca. Molti uomini sentono il vuoto, talvolta spaventevole di doversi muovere senza scopo. Una delle condanne crudeli che si sono inventate per castigare gli schiavi e stata quella di fare scavare delle buche profonde nella terra e poi farle nuovamente riempire e cosi di seguito, cioe di far lavorare senza scopo” (Montessori, 2000b, p. 132).
Le inedite potenzialita del bambino non potevano essere per lei interpretabili secondo i canoni di una natura infantile macchiata dal peccato originale e neppure da ricondurre, come voleva Spencer, allo stadio primordiale dell’umanita. Occorreva percio, secondo la studiosa, focalizzare l’indagine sperimentale sul materiale didattico, non piu da considerare quale supporto all’insegnamento — come nel caso del cosiddetto metodo oggettivo introdotto dai positivisti — ma al fine di permettere la conquista personale dell’apprendimento da parte dell’alunno, il quale avrebbe trovato gratificazione nell’agire per uno scopo:
“Il timore di non avere promozioni trattiene [i bambini] dalla fuga e li lega al lavoro monotono e assiduo […]. Se la societa e malata e domina la corruzione e per colpa di aver spento la grandezza dell’uomo nella coscienza dell’impiegato, e di aver ristretto la sua visione a quei fatti piccoli e vicini a lui, che possono considerarsi come i premi e i castighi” (Montessori, 2000a, p. 75).
Presso il quartiere di San Lorenzo, Maria Montessori ebbe modo di rendersi conto che la “libera scelta” del materiale strutturato rappresentava una strategia di primaria importanza; cosi pure, l’esercizio del “silenzio” trovava la sua immediata applicazione non piu inteso quale ordine repressivo imposto dall’esterno, ma presupponeva una tensione che “distacca dai rumori della vita comune ed innalza ad uno stato superiore al normale ordine delle cose” (Montessori, 2000a, p. 200). Il gioco del silenzio non era quindi da intendere quale risposta ad un ordine da parte dell’educatrice, come avveniva nell’asilo fondato dalle Agazzi a Mompiano. 4 Il modello agazziano faceva infatti riferimento ad una concezione della natura infantile attratta dal fantastico e dal soprannaturale, sulla base dell’ipotesi che nella mente del bambino andassero ritrovati i caratteri psichici propri dell’infanzia dell’umanita: la legge biogenetica, fatta propria in campo educativo dall’evoluzionismo di Spencer, era stata ripresa, nelle sue motivazioni di fondo, dal neoidealismo di Giovanni Gentile e di Giuseppe Lombardo Radice: l’idea di un bambino che come il primitivo appariva incapace di giungere ad una spiegazione razionale della realta giustificava l’insegnamento della religione come philosophia inferior, tramite cui “l’umanita deve necessariamente passare, per superarla e conquistare un’idea della vita che la appaghi e la guidi”. 5 Al contrario, per Maria Montessori l’educazione religiosa rappresentava un di più che assumeva un significato di profonda elevazione spirituale per il bambino, come testimoniano del resto le esperienze da lei condotte successivamente in Spagna, per quanto riguarda il cattolicesimo, e in India per la dimensione interreligiosa.
In sostanza, la studiosa non condivideva affatto la concezione della mente infantile riconducibile allo stadio primitivo dell’umanita; sosteneva infatti che se cosi fosse “questo stato selvaggio, essendo passeggero e dovendo essere superato, l’educazione dovra aiutare il bambino a superarlo; non dovra sviluppare lo stato selvaggio o trattenere il bambino in esso” (Montessori, 2000b, p. 224). Indurre il bambino ad una spiegazione fantastica degli eventi significava sostanzialmente per lei mantenerlo in uno stato di subalternita e di impotenza; al contrario, egli “dovra superare noi stessi” e per questo farsi interprete al piu presto della civilta del suo tempo. Ecco perche occorreva offrirgli “il massimo di cui disponiamo […] le grandi opere d’arte, le costruzioni civilizzatrici della scienza: e tali prodotti dell’immaginazione superiore rappresentano l’ambiente in cui l’intelligenza del nostro bambino e destinata a formarsi” (IVI).
In tal senso la prospettiva culturalista, elaborata da Maria Montessori nei primi anni del Novecento, trovera conferma nelle teorie avanzate da Vygotskij e infine da parte delle neuroscienze, in quanto le caratteristiche del materiale strutturato fungono da “gradini d’appoggio” onde permettere che il bambino costruisca “il suo pensiero e poi la sua immaginazione futura” (Montessori, 2000b, p.99). Percio la libertà, secondo la studiosa, non era da intendere in senso naturalistico, sulla base della nota tesi di Rousseau, in quanto “senza mezzi non si costruisce, proprio perche non siamo perfetti” (Montessori, 2002, p. 96).
Maria Montessori ribadira in diverse occasioni la necessita della convivenza tra bambini di eta eterogenee al fine di facilitare l’apprendimento: “Nella stessa classe dovrebbero trovarsi insieme bambini di tre eta: i piu piccoli che spontaneamente si interessano al lavoro dei piu grandi e imparano da loro” (Montessori, 1950, p. 224). La collaborazione tra soggetti di eta diverse metteva ciascuno in condizione di mutuo aiuto grazie “ai contatti tra le differenze di sviluppo, di ritmi di interessi, di capacita dei singoli individui” (Montessori, 2000b, p. 84). Cio che preoccupava Maria Montessori era il rischio dell’omologazione e del confronto, in quanto il lavoro del bambino non doveva essere motivato dall’utilizzo di “premi e castighi”: “i gruppi omogenei accentuano il confronto esasperando le difficolta di chi ha ritmi piu lenti di apprendimento” (IVI, p. 85).
Rispetto all’asilo agazziano, le differenze erano dunque notevoli, come l’assenza di lezioni collettive, la coeducazione di bambini di eta diverse, la figura di un’educatrice che fondava la sua azione sul non intervento. Nella Casa dei Bambini, la novita dell’ambiente e dei materiali implicavano, infatti, un terzo elemento, di centrale importanza, ovvero una educatrice, chiamata direttrice, in quanto come un direttore d’orchestra, avrebbe dovuto saper riconoscere e dirigere le forze interiori del bambino, il cui compito era innanzitutto quello di saper osservare (Pironi, 2022, p. 162).
Il modello di docente Montessori e la sua difficile diffusione in Italia
Diventare insegnanti sulla base della prospettiva montessoriana implicava compiere una radicale rottura non solo rispetto alle consuete pratiche didattiche, ma trasformando completamente il proprio stile comportamentale. 6 Compito fondamentale della “direttrice” era prima di tutto quello di imparare ad osservare, evitando qualsiasi atteggiamento di tipo invasivo e al tempo stesso giudicante, esercitando di conseguenza la pratica dell’autocontrollo. Indubbiamente, tale percorso implicava uno sforzo autoriflessivo in maniera costante, rivelando di conseguenza una buona dose di difficolta a diffondersi fra gli insegnanti su larga scala. Regola fondamentale era il rispetto dell’attivita di concentrazione del bambino durante il lavoro che stava compiendo in quel momento, senza percio subire alcun tipo di interruzione (Pironi. 2018b, p. 30). L’atteggiamento che secondo Maria Montessori doveva caratterizzare l’insegnante nel suo rapporto con l’allievo era infatti quello di acquisire una metodologia osservativa, distaccata e insieme partecipante, in grado di immedesimarsi col processo conoscitivo del bambino, sempre e comunque al fine di favorire la sua autostima, ovvero: “l’aspettativa ansiosa di chi ha preparato un esperimento per attenderne la rivelazione” (Montessori, 2000a, p. 80). Come ha sostenuto Poussin in merito allo stile educativo del docente montessoriano “Dalla qualita della nostra attenzione dipenderanno la crescita e lo sviluppo del bambino. Se la nostra attenzione non e profonda, potrebbe comparire nel bambino una sorta di ‘rumore’ interiore permanente, o qualcosa di simile alla noia o alla frustrazione” (Poussin, 2010, p. 103).
Per cercare di rendere meglio l’idea del delicato ruolo assunto dall’insegnante non possiamo non far riferimento alla testimonianza di una maestra montessoriana che paragonava il suo lavoro a quello compiuto dall’etologa, Diane Fossey, la quale aveva imparato a diventare “albero, foglia, a non esserci, ma a vedere e poi entrare a poco a poco, senza essere invasivi, mai invasivi, se no l’altro si difende ed è subito alterata la situazione” (Corda, 1996, p. 58).
Di conseguenza, l’attivita di tirocinio si caratterizzava come un instancabile percorso mai del tutto risolto:
“Capacità di stare in silenzio, quindi, di intervenire per aiutare il processo in atto nel bambino a esprimere le sue energie, e poi di ritirarsi per ritornare a osservare: tre atteggiamenti che si acquisiscono attraverso un percorso spirituale molto intenso e difficile, non certo con una preparazione solo culturale” (IVI, p. 56).
Appare quindi evidente come il problema della formazione abbia inciso in maniera determinante sulla scarsa diffusione delle scuole montessoriane nel nostro Paese, se si tiene d’altra parte conto dell’ampia fortuna assunta dalla metodologia agazziana per quanto riguarda la scuola dell’infanzia. Indubbiamente, in questo caso risultava molto piu semplice acquisire una metodologia didattica, ritenuta del resto maggiormente in continuita con la tradizione culturale italiana, in quanto, come e stato scritto “non si metteva in discussione il potere, l’autorità̀ e soprattutto il modo di gestire le istituzioni e l’educazione infantile” (Fornaca, 1978, p. 32). Non dimentichiamo che il Ministro della Pubblica Istruzione, Luigi Credaro, nel 1914, con un Regio Decreto, emanava le “Istruzioni dirette a diffondere nei Giardini d’Infanzia il metodo froebeliano rivisitato alla luce dell’esperienza delle sorelle Agazzi, onde tener conto dell’indole e caratteristiche del bambino italiano” (Pironi, 2022, p. 177).
Da quel momento Maria Montessori allento il suo rapporto con l’Italia, prendendo addirittura la residenza prima a Barcellona e poi in Olanda. Dopo l’ascesa del fascismo, nel 1924, vista la fama da lei assunta all’estero, Benito Mussolini decise di richiamarla in Italia, in quanto il suo metodo prometteva ottimi risultati nella lotta contro l’analfabetismo, una piaga ancora altamente diffusa nel nostro Paese. Tuttavia, tale progetto naufragò inesorabilmente: non potevano infatti essere compatibili tra loro una pedagogia che aveva fatto della libertà la sua linfa vitale e una politica totalitaria fondata sull’irreggimentazione (Lama, 2002).
Nel 1932, a seguito della conferenza Peace and education, tenuta dalla Montessori presso il Bureau international d’éducation, si incrino definitivamente il rapporto col Regime. Ella affermo infatti in quella occasione che i germi della guerra si annidavano nei rapporti autoritari tra adulti e bambini: “l’obbedienza a cui è sottomesso il bambino nella famiglia e nella scuola, obbedienza che non ammette ragione e giustizia, prepara l’uomo ad essere sottomesso alla fatalità̀ delle cose” (Montessori, 2004, p. 20).
Nonostante la studiosa non avesse voluto precludersi la possibilita di diffusione della sua pedagogia nel suo Paese d’origine, non poteva accettarne un utilizzo puramente applicativo, strumentale. Di conseguenza, a partire dal 1934, le scuole montessoriane vennero chiuse in Italia, cosi anche nella Germania di Hitler e in tutti i paesi totalitari (Montessori, 2014a, p. 83).
Sempre fedele a se stessa, animata da un forte pathos umanitario, pacifista, internazionalista, Maria Montessori cercherà̀ di realizzare il suo progetto in ogni parte del mondo, spesso in situazioni di emergenza, nella convinzione che “L’unica via di scampo per l’individuo è che tutta l’umanità̀ sia salva” (Montessori, 2000b, p. 244).
Morì il 6 maggio 1952 a Noordwijk aan Zee (Olanda), mentre si stava accingendo insieme al figlio Mario a partire per il Ghana. Nonostante l’eta avanzata era fortemente motivata ad affrontare quel viaggio: “Se ci sono bambini bisognosi di aiuto, quelli sono proprio i poveri bambini dei paesi africani. Certo che dobbiamo andare!” (Montessori e Montesano, 2007, p. 19).
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